05/09/2004 11:54
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Il sindaco sul significato della Liberazione: «Il dialogo è l'antidoto al terrore»
Sessanta anni fa Prato fu liberata e pagò, per questa sua liberazione, un ultmo tributo di sangue con l'uccisione a Figline da parte delle truppe naziste in fuga di 29 partigiani, che stavano scendendo verso la città. Come ogni anno Prato ricorda il 6 settembre e la sua avvenuta Liberazione.
Per l'occasione il sindaco Marco Romagnoli ha inviato un messaggio alla città sul significato della Resistenza e della Liberazione. Di seguito il testo:
«Prato ricorda oggi la propria Liberazione. La memoria torna a quei giorni intrisi di violenza. La violenza brutale non appartiene solo al nostro passato. Ricordiamo Figline e il contributo di Prato alla democrazia, e dobbiamo fare i conti con altro orrore: l’indicibile e agghiacciante strage di bambini in Ossezia.
Il raccapriccio per quanto avvenuto nella scuola di Beslem, per il terrore cieco e totale, che non può avere alcuna giustificazione, alcun appiglio, alcuna causa a cui riferirsi, ci dice che la testimonianza della Liberazione è sempre attuale.
Non possiamo rassegnarci all’orrore. Mai. In nessun momento.
Il ricordo per il martirio di quanti persero la loro vita in nome di valori di tolleranza, si unisce alla consapevolezza che nei nostri tempi quei valori sembrano di nuovo essere messi drammaticamente e tragicamente in discussione.
Ancora tre giorni fa, a Figline, in un dibattito al Museo della Deportazione e della Resistenza, si ricordava come per troppo tempo non si stata fatta luce sugli eccidi nazisti, come per troppo tempo, armadi definiti della vergogna, siano stati chiusi. Solo lo scorso anno Prato ha conosciuto il nome di colui che ordinò il massacro dei 29 partigiani della brigata Buricchi.
Non c’è alcun desiderio di mantenere aperte antiche e dolorose ferite. Abbiamo solo bisogno di conoscere e di non attenuare, con gli anni, il riferimento agli ideali di pace e civile convivenza, che ad esempio hanno consentito a Ebensee e Prato di superare il terribile destino che le separò più di mezzo secolo orsono.
Abbiamo bisogno di capire, poiché la conoscenza è indispensabile per rifarsi alla ragione e trarre squarci di luce che hanno una forte attualità. C’è una nuova sfida alla democrazia.
L’errore è pensare che ad essa si possa rispondere con uno scontro fra civiltà. Nonostante lo sgomento dell’orrore, l’atroce disumanità di gesti assassini compiuti nella scuola russa che non è inferiore alla violenza perpetrata 60 anni orsono dai nazisti, proprio ora, di fronte a tanto scempio e a tanto dolore, il solo modo per uscire dalla morsa è non perdere di vista il dialogo fra le culture, la convivenza pacifica tra le religioni.
La democrazia va avanti nelle forme del reciproco riconoscimento, nella mescolanza dei linguaggi, nel respingere dogmi assoluti di pensiero di ogni genere.
Se insegnamenti vanno tratti dalle pagine della Liberazione, il maggiore insegnamento sta proprio nel considerare la libertà un’idea di mutua comprensione. E’ questo che dobbiamo sforzarci di affermare, anche in questi giorni di tragedia.
La guerra continua ad essere presente.
Nessuna ragione può capire la strage di bambini in Ossezia. Nessuna mente può fornire la benché minima giustificazione a chi ha compiuto un così inumano atto di disprezzo della vita, agli atti di terrore susseguitisi dal crollo delle Torri Gemelle.
Ma la ragione ha diritto di interrogarsi per indicare quale sia il modo migliore per interrompere la spirale di violenza che genera violenza e a cui si risponde con violenza. Nelle situazioni odierne bisogna accordare la priorità alla politica della pace e per la pace, perché essa contiene quegli elementi che, facendo leva sulla concordia, costituiscono un robusto e fortificato antidoto a nuovi e vecchi fondamentalismi e al terrorismo.
A Figline si celebra il martirio di 29 giovani. Si celebra una richiesta di pace e di libertà, un desiderio di democrazia e di amore. Sta a noi impedire che questi valori siano compromessi»
201/04
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