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Comune di Prato

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08/06/2007 11:25
Innovazione Si è concluso il seminario organizzato da Prato Agenda

'Comunicare l'innovazione', presentata una ricerca

La Toscana è la terza regione, dopo Lombardia e Lazio, per spesa pubblica in ricerca e sviluppo
Di innovazione sui quotidiani italiani si scrive sempre di più. E’ questo il primo dato che emerge da una ricerca dell’Università di Firenze condotta da Antonio Sofi sulla presenza del termine “innovazione” negli articoli archiviati nel database del “Settore sistemi informativi documentari” della Regione Toscana (50.000 circa nel periodo considerato). La ricerca è stata presentata nel corso del seminario “Comunicare l’innovazione” che si è svolto ieri all’auditorium del Centro Pecci organizzato nell’ambito del progetto Interreg IIIC DISTRICT, da Regione Toscana e Prato Agenda del Comune di Prato. Hanno partecipato Leonardo Masotti, Carlo Sorrentino, Enrico Bianda, Guido Chelazzi, Antonio Sofi, Guido Romeo e Massimo Bressan. Secondo l’indagine elaborata, il cui periodo di rilevazione va da gennaio a maggio 2007, il termine “innovazione” ricorre in 1970 “pezzi”. Quasi il doppio rispetto agli stessi mesi del 2005 e registrando un aumento del 50 per cento rispetto allo stesso periodo del 2006. Una sintesi dei risultati della ricerca mette in evidenza la presenza di due diversi tipi di “giornalismo” che parlano di innovazione. Il primo più specialistico, si nutre di una accezione ristretta e “tradizionale” del termine, e produce una copertura giornalistica incentrata sul soggetto privato, che quando coincide con l’impresa e l’imprenditoria la percentuale è del 48 per cento. Se si tratta di una innovazione che è già in atto, i toni sono prevalentemente positivi e ottimistici e il dato sale al 70 per cento e sempre quando si parla di una innovazione che funziona si arriva al 77 per cento. Si stima inoltre che il 38 per cento degli articoli considerati presenta un ampio uso del format dell’intervista. Quando siamo in presenza di dettagli d’approfondimento con l’utilizzo di dati e tabelle si tocca l’81 per cento. Il secondo tipo più generale, accoglie una nozione più allargata di innovazione e la applica a vari campi tematici. Questo giornalismo produce però una copertura giornalistica incentrata sul soggetto pubblico e politico per il 35 per cento, a pari merito con le aziende. Se si considera invece il caso in cui si parla di una innovazione mancata, con toni prevalentemente negativi, siamo intorno al 43 per cento, ma sale al 61 per cento quando l’innovazione è ancora da avviare. Si evidenzia inoltre che il 74 per cento sono articoli in cui l’innovazione non è descritta ma solo evocata con pochi dettagli e con una propensione ad affidarsi al commento editoriale piuttosto che all’intervista con i protagonisti. Il rischio in questo caso è una perdita di valore del concetto stesso di innovazione, dato da un suo abuso come mero concetto evocativo o negativo. Quello che è stato sottolineato durante il seminario è che la discussione pubblica sull’innovazione, tra giornalismo e altri soggetti come la politica, l’impresa, la ricerca e il mercato, può essere ricondotta alla forma della conversazione, dove molte teste parlano della stessa cosa. Come ha ben evidenziato Carlo Sorrentino, docente del Master toscano in giornalismo “Non sempre una discussione animata da molte teste definisce un oggetto comprensibile, il giornalismo deve aiutare a far comprendere di che cosa si parla quando si parla di innovazione”. Così anche Guido Romeo, giornalista di Nova24 del Sole 24 Ore, rimarca la necessità di uscire da un racconto in negativo “se ci raccontiamo in declino, avremo declino. Abbiamo bisogno di una innovazione a prova di futuro, e il giornalismo migliore è quello che si fa vettore per la diffusione di innovazione”. Secondo Guido Chelazzi, prorettore alla ricerca dell’Università di Firenze: “la ricerca universitaria può dare respiro all’innovazione. In Toscana abbiamo molta ricerca di base di qualità che però in pochi casi si traduce in invenzioni e innovazione, serve quindi un ponte con il mercato che dovrebbe essere la comunicazione”. L’opinione di Leonardo Masotti, direttore scientifico della EL.En, azienda leader in campo medico nella produzione di strumenti per la diagnostica laser e ultrasuoni è che per comunicare bene l’innovazione serve un giornalismo delle tre c: corretta, comprensibile e completa. “ Non bisogna mai dimenticare che la creatività e il gioco sono gli elementi principali del nuovo: bisogna innovare divertendosi”. “Spesso il giornalismo cade nella trappola del mondo politico – spiega Antonio Sofi – si tratta in molti casi di una innovazione più volte annunciata e mai realizzata. Occorre un giornalismo dell’innovazione “esemplare” che sappia raccontare anche casi di successo”. “E’ necessario uno sforzo – conclude Massimo Bressan, project manager di DISTRICT - nel far dialogare il mondo della ricerca con quello dell’impresa e il nostro contesto non è poi così negativo se pensiamo che la Toscana è la terza regione, dopo Lombardia e Lazio, per spesa pubblica in ricerca e sviluppo”. Il concetto di innovazione nel corso degli anni è diventato una parola chiave per spiegare, pensare e progettare la modernità. E il campo giornalistico è un luogo di costruzione dell’opinione pubblica e di negoziazione del discorso dell’innovazione, complicato dalla presenza di molteplici soggetti dalle imprese, alla politica, passando per le pubbliche amministrazioni e la ricerca.
562/07

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