Sfruttamento del lavoro, in aumento l'emersione dei casi
Il fenomeno della tratta di esseri umani e del grave sfruttamento è molto diffuso in Italia e in Toscana, e continua a crescere. Negli ultimi anni si è addirittura accentuato, e oltre alla prostituzione si sono consolidate altre forme di sfruttamento nell'ambito del lavoro, dell'accattonaggio e delle attività illegali.
Il Comune di Prato è in prima linea per contrastare queste nuove forme di schiavitù, soprattutto per quanto riguarda il fenomeno del caporalato. È dello scorso maggio, infatti, il Protocollo d'intesa in materia di prevenzione e contrasto dei fenomeni di sfruttamento lavorativo e di tutela delle vittime firmato con la Procura della Repubblica: «Stiamo finalmente raccogliendo i frutti della riforma legislativa del 2016 realizzata dal Governo, che ha colmato diverse lacune e ci ha fatto fare molti passi in avanti, e dell'apertura dello Sportello dedicato presso l'assessorato alle Politiche per l'Immigrazione in accordo con la Procura che si sta occupando di una trentina di casi - ha detto il sindaco Matteo Biffoni - Di grande importanza anche il lavoro svolto in questi anni dalla Polizia Municipale, dalle Forze dell'Ordine e dal Nucleo di controllo regionale con le verifiche nelle aziende per ripristinare un livello di civiltà nei luoghi di lavoro e la diffusione della cultura della legalità». «Con il nuovo testo dell'articolo 603 bis del Codice Penale, in seguito alla Legge 199/20126, l'ordinamento legislativo ci ha dato gli strumenti giuridici per combattere il fenomeno dello sfruttamento lavorativo sul territorio - ha aggiunto il vicesindaco ed assessore alle Politiche per l'Immigrazione Simone Faggi - L'Amministrazione comunale ha fatto tanto su questo fronte e in collaborazione con le altre istituzioni siamo pronti a fare ancora di più e ad essere ancora più incisivi per combattere questo fenomeno». «I risultati cominciano a vedersi - ha affermato il Procuratore capo Giuseppe Nicolosi - Il problema è abbattere l'omertà che accomuna i lavoratori sfruttati e farli uscire da questo cono d'ombra. E' fondamentale che le vittime parlino per poter far partire le indagini». Questo si accompagna poi a meccanismi di tutela della vittima e "premiali" per l'autore dello sfruttamento, come sancito dal nuovo articolo 603 c.p., con la previsione di un'attenuante speciale per chi, nel rendere dichiarazioni, si adoperi per evitare che l’attività delittuosa prosegua o si aggravi e che aiuti concretamente l'Autorità Giudiziaria nella raccolta di prove decisive. Da questo punto di vista nella sua relazione giuridica sullo sfruttamento del lavoro e la sua estensione a Prato il sostituto procuratore Gestri ha evidenziato l'importanza di avere delle "sentinelle" rivelatrici degli indici di sfruttamento lavorativo sul territorio, il ruolo che svolge lo Sportello all'assessorato di via Roma.
Prato è un territorio a rischio di diffusi fenomeni di sfruttamento lavorativo per la compresenza dei fattori che agevolano il fenomeno, ovvero il radicamento di un settore d'impresa che non richiede un elevato livello di specializzazione, come le confezioni, e la rilevanza numerica della comunità straniera in condizioni di illegalità o disagio.
I dati parlano infatti di Prato come la città con la maggior percentuale di stranieri in rapporto al totale della popolazione su tutto il territorio nazionale. Dei 36.400 stranieri presenti sul territorio (18,9% sul totale della popolazione residente, 192.469 abitanti) circa il 50% è di nazionalità cinese. Di questi, si stima che siano circa 10.000 quelli non regolari, cioè privi di permesso di soggiorno e che danno luogo al cosiddetto fenomeno degli “overstayers”, coloro che entrano con un regolare visto temporaneo ma che una volta scaduto rimangono irregolarmente sul territorio.
È qui che fino a poco tempo fa entrava in gioco il fenomeno delle cosiddette aziende-dormitorio. Da qui, infatti, i datori di lavoro attingevano alla manodopera in stato di bisogno da poter sfruttare.
Al settembre 2015 risultavano essere 8.797 le imprese straniere registrate in città, la più alta incidenza percentuale (circa 26%) in rapporto alla popolazione rispetto alle altre province italiane. Il 67,3% di queste era gestito da cittadini di nazionalità cinese e oltre il 70% era impiegato nel tessile, prevalentemente nel settore delle confezioni.
Ad un anno dalla tragedia avvenuta - nel 2013 - nella fabbrica Teresa Moda dove persero la vita sette operai cinesi, erano presenti ancora più di 100 capannoni-dormitorio.
Da qualche tempo però la cose sembrano essere cambiate, è in calo la presenza delle fabbriche-dormitorio e si registra una evoluzione nel reperimento della manodopera da sfruttare. I nuovi bersagli sembrano essere adesso etnie differenti da quella cinese, ancor più fragili e di cui fanno parte i migranti e richiedenti asilo soprattutto africani. È sempre più frequente trovare infatti, ad oggi, operai di origine africana, ma anche pakistana e indiana al lavoro in aziende gestite da cittadini cinesi.
Il Protocollo d'Intesa firmato tra Comune e Procura della Repubblica ha smosso le acque in questo senso. È necessario riuscire a coinvolgere direttamente la vittima dello sfruttamento lavorativo, come previsto dalla normativa del 2016, che forniva strumenti più incisivi punendo anche il datore di lavoro, che prima rimaneva impunito, oltre al caporale. Nonostante l'articolo 603 bis del Codice Penale, le notizie di reato stentavano, però, ad arrivare. Il Protocollo, in questo senso, permette di avere sul territorio delle "sentinelle" in grado di identificare la potenziale vittima e raccogliere la notizia per far partire il procedimento.
Come ha evidenziato Gestri nella sua relazione, le riforme del 2011 e del 2016 si sono adoperate per tutelare la dignità del lavoro e del lavoratore cambiandone la prospettiva. La normativa in vigore fino al 2011 non prevedeva una tutela specifica dello sfruttamento lavorativo. Nel 2011 è stato fatto un passo avanti, anche se presentava ancora dei limiti strutturali e funzionali.
Si andava, ad esempio, a colpire il caporale - colui che procacciava i lavoratori - ma non il datore di lavoro che di fatto restava impunito, così come non era prevista la confisca obbligatoria dei macchinari e/o del patrimonio aziendale.
Con l'introduzione dell'articolo 603 bis, si amplia invece l’ambito applicativo. Viene anzitutto ordinato l'arresto obbligatorio - là dove prima era facoltativo - e soprattutto viene punito non solo chi si occupa di reclutare per conto terzi – il cosiddetto “caporale” – ma anche il reale beneficiario, ovvero il datore di lavoro. Viene previsto il ricorso alle intercettazioni, la confisca obbligatoria dei beni utilizzati per compiere il reato e di eventuali proventi di cui il proprietario non sia in grado di giustificare la provenienza e che si può presupporre derivino dall'impiego illecito di manodopera, oltre che la possibilità da parte del Pubblico Ministero di richiedere il sequestro preventivo dell'azienda.
La mattinata si è poi conclusa con la presentazione della ricerca "Forme di sfruttamento lavorativo a Prato" da parte di Serena Mordini della segreteria tecnica del progetto antitratta toscano SATIS, Andrea Cagioni e Giulia Coccoloni di CAT Cooperativa Sociale ONLUS e Federico Oliveri ricercatore aggregato CISP Università di Pisa.
slcb
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